VOX POPULI
di Renato Catania tratto dal periodico "Lo Strillo" AGNELLI E/O LUPI DI RECENTE l’Italia, ha commemorato a Torino attraverso la sua più alta espressione rappresentativa, nientemeno che nella figura del Presidente Giorgio Napolitano, il decennale della scomparsa di Gianni Agnelli. Sono state spese parole di rimpianto e di elogio, e non solo, per la figura così emblematica della storia recente dell’economia della smemorata Italia. Certo sono passati oltre 5 decenni da quando il canto ammaliatore della Fiat degli anni ‘60, chiamò a raccolta migliaia di italiani del sud. La facoltosa famiglia Agnelli, profittò della ricostruzione, dopo la guerra, per cogliere a piene mani quella manodopera, facile da racimolare dalle forze lavoro delle campagne meridionali. Ben presto le popolose aziende agricole furono spopolate, dividendo patriarcali famiglie di agricoltori. Presto, il passaparola del lavoro in fabbrica a Torino, fece affluire convogli ferroviari alla volta di Porta Nuova. Il canto delle sirene del lavoro sicuro, non evidenziò mai il disagio delle condizioni di vita, per innumerevoli motivi legati per primo alla diffidenza atavica che divideva da sempre il Nord dal Sud, il razzismo e la discriminazione, da qui la migliore espressione che li definiva era: “Terrone”. Questo e molto altro per parlare di disagi, vessazioni, violenze ecc. sono poca cosa al confronto del danno creato al territorio, alla cultura, ed alla personalità del popolo meridionale, al danno all’intero Paese. Per cosa? Per l’arricchimento furbesco e senza scrupoli di qualche industriale. Se continuassi con questo tono, potrei apparire ideologicamente comunista e di parte, ma il “danno” perpetrato all’Italia è stato ingente. Facciamo un passo indietro: pochi sanno che la Fiat degli Agnelli, non fu fondata dagli Agnelli, ma da un gruppo di danarosi imprenditori come il conte Biscaretti, già commerciante di auto da corsa provenienti dalla Germania, il conte Cacherano, l’avv. Racca, un certo Lanza, piccolo fabbricante di candele di cera, l’avv. Goria Gatti, un certo Scarfiotti, un banchiere, tale Ceriani, Luigi Damevino, il marchese Ferrero De Gubernatis e un piccolo azionista, entrato in seguito alla fondazione, di nome Giovanni Agnelli. Parliamo dell’anno 1899. Il consiglio di amministrazione era composto solamente dai fondatori. Scarfiotti era stato eletto presidente, Cacherano, vicepresidente. Mancava un segretario, che per consuetudine era appannaggio del più giovane dei presenti. Frettolosamente fu affidato l’incarico al giovane Giovanni Agnelli, figura di scarsa importanza principalmente perché non era nobile come tutti gli altri. Negli anni immediatamente successivi, il giovane Agnelli “approfittando” delle gelosie createsi all’interno, per le idee e le cariche più importanti del C.A., nei primi anni del 1900, con un colpo di mano bene assestato e con la connivenza di un altro componente il Consiglio, fece passare la proposta di ridurre a 1/8 il valore nominale di ogni azione. Questo creò una vera rivoluzione, che alla fine consentì ai due furbetti (Agnelli e Damevino) di estromettere i fondatori, con l’aiuto di un istituto bancario, di appropriarsi della maggioranza delle quote, divenendo lupi, al posto di agnelli. Questa breve ma intensa storia, i cui trascorsi e sviluppi sono stati davvero “ sconvenienti”, si allaccia perfettamente al motivo conduttore della Storia della Fiat ai giorni d’oggi, causando ingenti danni al Paese, come in parte elencati di seguito: Spopolamento della forza lavorativa dell’Italia meridionale con l’unico scopo di sfruttare l’orgoglio del popolo del sud al fine di una totale egemonia sul mercato automobilistico, usando l’arma dei licenziamenti ogni qualvolta le superproduzioni, non erano suffragate da equivalenti vendite con il ricorso alla cassa integrazione, pretesa a carico dello Stato con lo spauracchio di licenziamenti di massa con l’astuzia di incamerare proventi nelle casse intoccabili delle finanziarie di famiglia (IFIL divenuta IFI trasformata EXOR) valutate in miliardi di euro, quando le vendite subivano impennate e il ricorso alla cassa integrazione durante le flessioni del mercato. Questo è stato utilizzato per decenni: l’acquisizione una per volta delle altre case automobilistiche italiane come la Lancia, l’Autobianchi, l’Alfa Romeo, comprata senza denaro, il tutto con licenzianti di massa, senza scrupoli e senza pietà e molto altro ancora fino ai giorni d’oggi, che individuato un amministratore delegato taglia teste e arrogante, lontano dal nome degli Agnelli, colpisce a sangue, senza sporcare il prestigioso “NOME”. Infatti, se prima le vittime della Fiat, potevano imprecare contro gli Agnelli, da qualche anno lo possono fare solo contro Marchionne, avendo gli Agnelli ricostruita la loro verginità. E continuano ancora, aprono e chiudono stabilimenti, tranciano porzioni di forza lavorative e minacciano, minacciano e minacciano. Dopo questi brevi cenni della storia della “Famiglia”, la commemorazione del personaggio Agnelli, forse si sarebbe dovuta lasciare agli eredi con cerimonia privata. Altro che presidenti e cardinali! Se l’Italia è così, la colpa è anche sua. |
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