FAKE NEWS – ALLARME NEL MONDO
di Renato Catania GIORNALISMI – IL PUNTO DI VISTA DEL PROFESSOR PIRA Il vicolo cieco in cui si è rifugiata in Italia, la “carta stampata”, ha caratterizzato non solo il crollo delle vendite dei giornali ma insieme al fenomeno delle fake news, ha visto il crollo dell’interesse anche dei tradizionali affezionati lettori. Ormai il settore è sfiduciato, anche perché, nessun progetto serio, appare in grado di bloccarne il declino. Gli studiosi del settore e i comunicatori analizzano continuamente il problema nel tentativo di combatterne gli effetti e Dio sa quanto ce ne sia bisogno. Fra questi il professor Francesco Pira, docente di Teorie e tecniche del linguaggio giornalistico, Comunicazione Istituzionale, Giornalismo digitale e Comunicazione Integrata, con Andrea Altinier, docente di comunicazione, hanno pubblicato un saggio: “Giornalismi”, che affronta in modo lucido e analitico il fenomeno. Conobbi il Professor Pira in occasione della conferenza stampa di presentazione del saggio “Giornalismi”, indetta, presso il Polo Universitario di Agrigento. In quell’occasione avendo trovato molto interessante l’argomento, chiesi e ottenni l’intervista che segue, precariamente appartati presso un bar letterario della bella Agrigento: -Chi è il lettore interessato al “saggio”? Il libro nasce con una prerogativa: è inserito in una collana di comunicazione e marketing dell’Università Salesiana di Venezia e Verona, quindi è un testo didattico, da Comitato Scientifico. Ha tutte le caratteristiche di un saggio. Quando l’abbiamo scritto, pensavamo che sarebbe stato solo legato a mera fruizione da parte degli studenti. Ci siamo, però, resi conto, che proprio quando stava uscendo il libro, è scoppiato l’allarme “fake news”, in Politica, nella Sanità e in tutto il mondo della comunicazione. È stato il momento in cui esplodeva la questione vaccini. Ci siamo resi conto che era diventato utile per tutti quelli che in qualche modo, impattano con la comunicazione e il linguaggio. Come docente sto tenendo Corsi di Formazione per giornalisti. La prossima settimana sarò a Napoli per tenere un Master dedicato alla Sanità, argomento molto sentito. -Nella prefazione il professor Mariano Diotto, definisce “Giornalismi” Manuale Originale, è dunque da considerare tale?
Sicuramente per com’è strutturato, la definizione è esatta. Chi vorrà leggerlo, sarà prevalentemente un addetto ai lavori. È frutto di due anni di ricerche sul fenomeno “fake news”, in Italia e nel mondo, di cui ritengo ci sia una sottovalutazione. Su questo abbiamo costruito il nostro lavoro. È utile come un manuale ma ha dignità di ricerca. -Secondo quello che leggiamo in “Giornalismi”, una componente della crisi della carta stampata, sembra derivi dall’uso scorretto delle informazioni riportate su internet, su cui attingono molti giornalisti, per approfondimenti e non solo. Ritiene questo metodo inefficace e scarsamente veritiero? Credo che ci sia una pericolosa sottovalutazione delle “fake news”. Non è una cosa casuale o episodica. A oggi, nessuno ha preso seriamente in considerazione, che possa esistere un’industria delle “fake news”. Mi piace ricordare che i più importanti quotidiani alla versione cartacea affiancano quella on line. Il tema è: se la fake new è scritta bene e comincia a entrare nei siti internet di alcuni quotidiani, non solo italiani, a quel punto la diffusione è talmente capillare che potrà essere facilissimo cascarci, vuoi perché non hanno il tempo per la verifica, vuoi perché non la vogliono fare. Secondo me, la prima regola è che non si può pensare di adottare il linguaggio della carta stampata a “Istagram”, tant’è vero che grandi televisioni come la BBC, hanno alcuni telegiornali su “Istagram”, avendo capito che il problema è catturare il lettore in pochi secondi. Per esempio, proprio in quello della BBC, scompare pure la parola a vantaggio di musica e immagine. Appare una striscetta con una sorta di titolo. Diciamo francamente, se è vera questa tendenza e gli americani dicono che nel 2025, sparirà la carta stampata, il futuro dei giornali ex cartacei e on line, è tutto da scrivere. -Ritiene l’informazione viziata dagli interessi personali degli editori, legati alla politica o interessi di parte? In Italia abbiamo la strana situazione che non esiste l’editore puro, o meglio sono un numero sparuto. Gli editori nostrani sono di due tipi: Imprenditori che investono nella carta stampata e per come chiede in domanda, per cui dicono che tengono i giornali perché servono a ricattare la politica. Esiste l’altro tipo di editore la cui testata è alimentata da finanziamenti pubblici, per cui e obbligatorio dar conto allo Stato. Altra eclatante anomalia tutta italiana è il caso della testata “Il Sole 24 ore”. Siamo l’unico Paese in Europa che il più grande quotidiano economico, appartiene a Confindustria, per cui, i prestigiosi articoli di economia, sono orientati sugli interessi degli imprenditori. Se questo è il sistema, le fak news possono essere generate da tali soggetti. Ad esempio, se Confindustria è contraria a questo Governo perché dissente dalla sua politica economica, in questo modo ha la possibilità d’influenzare il popolo elettore, manifestando il suo punto di vista. Nel primo caso, non mi sento di dire, perché non ho le prove, che possano esserci strutture istituzionali che generano fake news, però mi sento di dire che c’è un’industria delle fake news, che può in qualche modo agevolare le parti, ma che comunque ha una sua strategia finale. Altro esempio pratico: la Brexit. È emerso che il 70% delle notizie girate, prima del referendum, erano fake news. Oggi, gli inglesi non voterebbero allo stesso modo. A chi giova? Chi danneggia? In Italia, è chiaro che c’è un’industria che produce vaccini, che ha determinati interessi. Esiste un movimento di persone, che sono contro i vaccini, che producono altre notizie. Alcune sono anche false. È palese che la macchina delle fake news possa essere finanziata una volta da uno o dall’altro. In mezzo c’è la mancanza di verità. -Lei quindi ritieni che possa esserci un organismo fatto apposta?
La cosa, ritengo sia strutturata. Dobbiamo pensare che non è la burla, la bufala. Dietro c’è una strategia, perché alcune cose avvengono in determinati momenti, in certe Nazioni piuttosto che in altre. Non può essere casuale in cotanta organizzazione. -Qual è oggi, secondo lei, l’obiettivo primario di una testata giornalistica, quella d’informare correttamente o sbalordire per creare interesse e vendere? È chiaro che i giornali devono vendere e trovare la chiave per farlo più della concorrenza. Però penso che i giornalisti stiano vivendo una profonda crisi d’identità, perché i giornali non si vendono. Gli editori italiani non sono stati furbi come in altri paesi, andando a creare condizioni che permettessero loro di vendere pacchetti su settori specifici, come in America, dove puoi comprare anche tutte le pagine culturali o sportive. In Italia, questo non è mai stato praticato. E’ cambiato il giornalismo, è cambiato il pubblico e il livello si è molto abbassato. Secondo me non è cambiato il giornalismo, ma il bisogno di fare giornalismo in modo evolutivo. C’è stata un’evoluzione nella comunicazione, di cui la carta stampata non ne ha seguito flusso. Se guardiamo le striminzite redazioni di adesso e le mettiamo a confronto con quelle di qualche decennio fa, sono identiche, vigono gli stessi sistemi. Le riunioni di redazione, uguali a cent’anni fa.
A conforto di quello che dice, c’è anche una certa differenza nel cambiamento del rapporto spazio – tempo: Il giornalista di oggi ha sempre meno tempo, sempre più lavoro e non riesce a essere competitivo, perché le testate sembrano fatte in fotocopia. -Il prestigio di una tastata giornalistica, sta nell’accaparrarsi penne straordinarie che affascinino il lettore, che consentano di essere seguiti a prescindere dalla testata che la ospita: Enzo Biagi mi faceva acquistare il Corriere della Sera, Indro Montanelli Il Giornale e così via. Non crede che la scarsità di penne straordinarie possa essere una concausa della crisi? Penso che oggi un Blogger valga molto più di una penna straordinaria, come la chiama lei. Un’Influenzer vale molto di qualunque giornalista capace di produrre inchieste. Facciamo un esempio pratico: Nella moda, fino a qualche tempo fa, una giornalista del settore era considerata una dea. Arrivava alle sfilate di moda e le era riservato il posto più importante, oggi, è in terza fila, al suo posto c’è un Blogger, perché quando io riesco a parlare a cinque o sei milioni di persone, tutti i giorni, per me Azienda di Moda, potrò essere molto cordiale con la giornalista di Vogue, che vende 25 mila copie, ma la Blogger ha un’influenza maggiore. -Che la Blogger abbia un’influenza maggiore, è indubbio, ma parliamo di altro settore. La Blogger è pagata dalle case produttrici, per pubblicizzare i loro prodotti. Per prima cosa, non c’è la purezza della competenza e dell’obiettività della tecnica della giornalista di moda il cui ruolo è ben diverso, dovendo esprimere tecniche di linguaggio e vera conoscenza di tendenze. La Blogger t’influenza a comando. Secondo me oggi, il lettore medio, perché non compra più i giornali? Perché i ragazzi non guardano più la televisione? Queste sono le domande da porsi. Perché una Testata, una Rete, dove ci sono spettatori sempre più anziani, come Rete Quattro, che ha deciso di fare tutta una prima serata d’informazione? Che cosa sta accadendo? Perché “L’Espresso”, chiude la versione on line e tiene quella cartacea, nel 2018? Qual è il Mercato vero? Qual è la risposta? Emerge un disorientamento generale. Non c’è più rapporto e mercato fra il giornalismo; mercato inteso nell’accezione più nobile, come la intendiamo noi, che è un prodotto culturale. Oggi, la scuola fa una cosa che si chiama orientamento, ma che possiamo definire puro Marketing, perché devo accaparrarmi gli studenti, perché se non arrivano a un certo numero, mi declassano la scuola; per accaparrarli devo dare un’immagine di un certo tipo. Si genera la corsa verso l’apparire, perché devo dimostrare che sono più bravo degli altri. La qualità della didattica è deficitaria. Sono convintissimo che il tema delle fake news debba passare alla scuola. Oggi i ragazzi non sanno distinguere il vero dal falso. Bisogna fare un lavoro serio per andare a spiegare. Da docente sono fermamente convinto che occorra far un lavoro serio per andare a spiegare. Se non lo fai dalle scuole, le nuove generazioni cresceranno in un mondo contraffatto; per loro, la verità non è quella dell’insegnante, ma quella che leggono su Google. La nostra è una società che ha perso i suoi punti di riferimento, perché ha completamente disatteso quel processo di pedagogia istituzionale, che ci insegnavano da bambini. Perché devo avere rispetto verso la maestra, manca il rispetto per le Istituzioni. La lunga chiacchierata con Francesco Pira, mi ha indotto a riflettere e a trarre conclusioni amaramente reali. È emerso che la nostra democrazia è attaccata da tutte le parti: la speculazione e il dio denaro, hanno ruoli primari a svantaggio della cultura, della conoscenza e della speculazione. Mi piacerebbe, Professor Pira, che presto io possa intervistarla e i problemi affrontati oggi abbiano risposte positive e concrete.
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