Incontri: Antonio Lubrano, giornalista, scrittore, uomo di televisione
HA SCRITTO UN LIBRO SORRIDENTE di Renato Catania tratto dal periodico "Lo Strillo" “Non lavoro più per la RAI, il nuovo direttore Gubitosi si è inventato una norma, inesistente fino a due anni fa, che tutti gli ex dipendenti della Rete, non possono continuare ad avere contratti di collaborazione annuali, sicché io e altri vecchi collaboratori dell’Azienda, siamo stati messi sgarbatamente alla porta senza neppure una lettera di spiegazioni, Ho scritto anche al presidente, signora Tarantola, che immaginavo avesse altra idea del potere. Lei crede che mi abbia risposto? È passato più di un anno, nulla”. “NON HO MAI AVUTO nessun timore del cosiddetto culo di bottiglia”.
Questa frase, pronunciata d’impulso mordendosi il labbro con antico pudore che tanto fa bene ascoltare. A pronunciarla è Antonio Lubrano, seduto accanto a me in un bar letterario nella zona dei Navigli a Milano. Mi ha fissato lui appuntamento in questo bar a me sconosciuto, che sembra esistere solo per accogliere intellettuali d’epoca. La voglia d’incontrarlo e conoscerlo mi è venuta sentendo per caso in televisione che Lubrano aveva scritto un altro libro. La curiosità c’era, ho avuto il forte impulso di conoscerlo, così misurato e sensibile, per come me lo ricordavo. Dopo i convenevoli ci accomodiamo in un tavolo d’angolo accanto a una vetrata e a una pila di libri su un piccolo scaffale d’epoca d’annunziana. Il mio primo slancio è di sentire il suo parere su una domanda che molti si pongono: - Che cosa è cambiato nell’ambito dell’informazione dagli inizi della sua professione? “Dipende da come ci si rapporta con la Televisione. La sua domanda fa intuire che la televisione è cambiata, soprattutto cambia chi fa televisione. Io mi sono posto sempre un problema: l’importante è come uno si muove. Se uno è sempre se stesso nella vita privata come in quella pubblica, la televisione non lo altera per niente. Non ho mai avuto nessun timore del culo di bottiglia, perché la telecamera somiglia al sedere di una bottiglia. Sapere che aldilà di quell’oggetto, c’è il pubblico mi sento di creare un dialogo aperto. Amo molto il pubblico e il desiderio d’informare è sempre stato il motore che ha fatto muovere i cardini della mia professione. Certo è difficile sottrarsi alla suggestione d’internet, Quello che è cambiato è lo strumento tecnologico, quindi il modo di fare comunicazione. Il pubblico, oggi, il famoso sconosciuto interlocutore che batte sulla tastiera del suo computer per collegarsi, è lui che comanda. Gli stessi giornali che dettavano legge perché esclusivi diffusori d’informazione, vendono molto meno e molti hanno creato siti web”. - Quando lei era ospite, autore, interprete di programmi televisivi, rispetto a oggi, da spettatore, la televisione ha una diversa impronta o è cambiato poco. “No! Assolutamente, forse posso dare una risposta falsata, perché provengo dalla televisione di Angelo Guglielmi, che è stato il più grosso animale televisivo di sempre per aver capito che la televisione deve essere realtà: no filtro teatrale, non filtro finzione. Del resto tutti i programmi nati sotto la sua direzione avevano questa cifra. Molti di quei programmi resistono ancora, tipo “chi l’ha visto”, legatissima per definizione alla realtà. È chiaro che la televisione d’oggi è spettacolo e aggiungo, il peggiore, becero. C’è una cosa però che i dirigenti d’oggi non hanno previsto: lo spettatore ha le scatole piene di questo bombardamento pubblicitario. Recentemente, da un’indagine affidata a una grossa società del settore, è emerso che il consumatore e diventato proattivo, è molto più infedele di prima, che non si fa condizionare, anzi è diventato reticente”. - Lei ha lavorato per diverse testate giornalistiche, qual è stata quella più vicina alle sue idee e perché. “Ho iniziato presso una “testata” napoletana: “Il Giornale”, che non ha niente a che vedere con “Il Giornale” di Feltri o Sallusti, parlo degli anni ‘50. Ho imparato il Mestiere frequentando, di notte, la tipografia del giornale, che si trovava a Spaccanapoli. Il vice capo cronista, Antonio Ravel, mio maestro, che mi ha insegnato come s’impagina, come si fa un titolo, come si scrive una notizia e molto altro. Per due anni, gratis. Anni fondamentali della mia vita. Quel giornale aveva classe. Stampato a caratteri “bodoni”, di un’eleganza straordinaria, scritto splendidamente da giornalisti, reduci dalla guerra e figli “d’arte”. Testata di raffinato taglio liberale non legata assolutamente alla politica. Via da Napoli, mi trasferii a Roma, nella redazione del “Giornale d’Italia”, fondato da Don Sturzo. Anche quelli furono anni d’importante formazione. La testata cui sono molto legato è stata quella del Tg2. Per dieci anni inviato speciale, attraverso quattro direttori: Barbato, Ugo Zatterin, Antonio Ghirelli e Alberto La Volpe. Quest’ultimo ebbe l’intuizione di affidare a me la rubrica da lui inventate, pietra miliare nel suo genere: “Diogene”. Era collocata in coda al Tg delle 13 ed esplorava i diritti calpestati dei cittadini. Durava dieci minuti, dall’87 al ‘90. Gli ascolti balzarono da 3,5 milioni a 4,5 milioni. Di recente ho avuto una cocente delusione dal giornale della mia città, Il Mattino. Per tredici anni da un’idea di Anna Tortora e altri, nacque la rubrica “Risponde Lubrano”. Nel 2000, il direttore dell’epoca, incontrandomi da Maurizio Costanzo, mi propose una corrispondenza con i lettori, “ti do una pagina intera” mi disse. Iniziai subito e una valanga di lettere si riversò in redazione, con richiesta varia su diritti e problemi burocratici. Una volta la settimana riempivo un’intera pagina del quotidiano. In seguito, sotto la direzione di Mario Orfeo, nacque un problema: Un personaggio napoletano che definirei ambiguo scrisse una lettera contro di me perché avevo criticato una trasmissione televisiva che secondo me disonorava Napoli: “Napoli ieri e oggi”, protagonista Gloriana, che non ho mai apprezzato. La protesta fu causata dalla mia risposta a un lettore che mi chiedeva perché Napoli fosse così maltrattata da tutte le parti. Oggi non ricordo cosa fosse capitato, ma confermai il pensiero del lettore aggiungendo che l’immagine di Napoli non meritava tali argomenti. La cosa singolare che questo signore, avvocato di Gloriana, mi rimproverò di avere avuto a ridire sul personaggio da lui rappresentato. Poi, per problemi amministrativi del giornale, chiusi il rapporto. La mia rubrica, oggi, è pubblicata sul “Corriere del Mezzogiorno” di Antonio Polito”. - La sua specializzazione nel campo, mi riferisco ai diritti dei consumatori, ritiene possa essere ancora utile, così come lo fanno adesso o è solo spettacolo? “Lei mi tira per la giacca. Sono due anni che non lavoro più per la RAI, non per mia scelta, ma perché il nuovo direttore Gubitosi si è inventato una norma, inesistente fino a due anni fa, che tutti gli ex dipendenti della Rete, non possono continuare ad avere contratti di collaborazione annuali, sicché io e altri vecchi collaboratori dell’Azienda, siamo stati messi sgarbatamente alla porta senza neppure una lettera di spiegazioni. Io e qualche altro, facciamo parte della storia della televisione italiana, avendo creato con successo un genere. Due righe, solo due righe. Ho scritto anche al presidente, signora Tarantola, che immaginavo avesse altra idea del potere. Lei crede che mi abbia risposto? È passato più di un anno, nulla”. - Lei ha competenze anche nel campo dello spettacolo, la musica e le canzoni, perché già direttore di TV Sorrisi e Canzoni. In Italia, oggi, cosa è cambiato nel settore? “Ho un grande cruccio: stiamo dismettendo tutto quello che è stato creato nei secoli anche nel campo della musica, invidiati dal mondo per l’estro e il genio dei grandi compositori italiani. Per quello che è capitato all’Opera di Roma, sull’orlo del fallimento e le dimissioni del m° Muti, all’Opera di Torino, il commissariamento del San Carlo di Napoli. Hanno distrutto quattrocento anni di Storia. L’assenza dell’insegnamento della musica nelle nostre scuole. Che tristezza!” - Mi parli dell’ultimo suo romanzo “L’Isola delle Zie”. “Ho scritto diversi libri, in maggior parte saggi, a questo ho voluto dare un’aria di leggerezza. Io sono procidano, isola di naviganti, nella mia famiglia sono stati tutti uomini di mare, a parte me che ho tradito. La mia isola mi ha insegnato molte cose, che attraverso questo romanzo ho voluto rendere partecipe tutti. Mi sono inventato un delitto, avvenuto in una di queste famiglie di lupi di mare. Tanti sospetti s’intrecciano attorno a questa vicenda, ma un quindicenne, figlio di questa famiglia, attraverso la sua caparbietà riesce a trovare il bandolo della matassa. Non posso rivelarle altro per non farle perdere il gusto della sorpresa, quando lo leggerà. La critica l’ha definito sorridente”. Antonio si accomiata da me con la promessa di rincontrarci. |
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