Tratto dal periodico "Lo Strillo"
La casta dell’alta moda ed il Made in Italy confezionato altrove DOVE VIVONO LE SARTE DEGLI STILISTI ITALIANI? di Renato Catania I SIGNORI DELLA MODA non sono fessi e sanno come cautelarsi da ogni genere di responsabilità in caso di violazione lungo la filiera produttiva”. Inizia così la dichiarazione apparsa su un quotidiano nazionale, rilasciata dal colonnello della Guardia di Finanza Pascucci, che continuando afferma che le leggi in materia sono troppo morbide e facilmente aggirabili. La Moda, uno dei settori più importanti e prestigiosi dell’economia italiana, sta attraversando un periodo veramente triste: grandi firme che falliscono, licenziamenti a catena, forti ridimensionamenti nella produzione. É di questi giorni la notizia che molte aziende del nordest, stanno chiudendo per mancanza di commissioni da parte delle grandi firme della moda italiana. Giancarlo De Bortoli, noto produttore di abbigliamento conto terzi, in un’intervista si chiede: “dove vivono le sarte di Dolce & Gabbana?”. Questo per accusare gli stilisti più prestigiosi di aiutare la manodopera clandestina a danno delle numerose aziende italiane conto terziste che con la loro competenza, hanno fatto la fortuna dei creatori di moda ed il prestigio del Made in Italy. De Bortoli sta chiudendo i battenti della sua azienda. Non arrivano più le commissioni dei vari Gucci, Prada, Armani, Valentino, Fendi e molti altri, perché preferiscono far confezionare le loro collezioni nei paesi a basso costo di manodopera come Cina, India, Romania, Turchia e altri dove il mercato del lavoro non ha regole, dove gli operai vengono rinchiusi in capannoni clandestini costretti a lavorare anche 18 ore al giorno senza assicurazioni ed in condizioni disastrose ed igienicamente disumane. Questo indegno mercato vige anche nel nostro bel paese, dove nelle grandi città come Milano, Napoli, Genova ed altre, lavoratori clandestini lavorano alle dipendenze della malavita organizzata, per i baroni della moda. De Bortoli chiude e licenzia. Ha già venduto diversi suoi beni acquisiti con grandi sacrifici, per pagare gli ultimi stipendi. Non si può certo negare che la crisi è incombente, la gente compra meno, ma se andiamo a vedere le etichette dei capi in vendita nelle grandi boutique ed in tutti i negozi di abbigliamento, il Made in Italy non esiste più, a danno ovviamente della qualità e spesso anche della salute a causa dei coloranti tossici a volte usati per colorare i filati. Curiosamente, io stesso ho notato fra i miei capi d’abbigliamento, spesso di marca, che per riscontrare un’etichetta dove è indicata la provenienza italiana devo cercare fra le vecchie cose almeno di 15 anni. Proprio ieri, su un quotidiano non si è fatta aspettare la replica a De Bortoli: Ennio Capasa, fondatore di “Costume National” dice che non ci sta perché lui produce solo in Veneto, e con riferimento tecnici spiega che sono state applicate nuove tecnologie nelle produzioni recenti, elencando una serie di complicate definizioni, sembra solo pubblicizzare la sua azienda, piuttosto che smentire il lamento dei produttori conto terzisti. Il Capasa dice che è vero che una cosa che costa 5 sarà poi venduta a 500, ma si giustifica dicendo che c’è un problema di struttura. Intanto la produzione italiana sta scomparendo. A questo proposito sembra che per tutelare il Made in Italy, è stato approvato un disegno di legge che impone l’etichettatura per impedire che certi imprenditori italiani possano avvalersi del Made in Italy su capi di fabbricazione straniera e venduti all’estero come confezionati in Italia, allertando le Dogane. Per corredare questa inchiesta di testimonianze dirette, ho tentato di intervistare alcuni responsabili di aziende milanesi di alta moda, ma appreso il tema dell’intervista, con puerili scuse hanno declinato la mia richiesta. Tutto questo è certamente preoccupante e sbalorditivo, ma un’altra notizia raccolta da un’altro quotidiano informa che la in Cina è scattato un sequestro senza precedenti di merce firmata: Versace, Trussardi, Hermes e Dolce & Gabbana. A quanto pare non si tratterebbe di contraffazioni ( la Cina è maestra in questo campo), ma di merce che non soddisfa gli standar di qualità previsti per i beni di lusso. La merce è stata sequestrata in grossi centri commerciali di Hangzhou, Ningbo e Taishou e risultava importata da tutto il mondo, Italia compresa. L’accusa più eclatante è stata quella che i capi sequestrati non erano stati realizzati con colori sicuri per la salute. Ricordiamo che i cinesi consumano il 27% dei prodotti di lusso in commercio. Dobbiamo scandalizzarci? Sicuramente si. |
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